“Da quanto siete sposati?” domanda ora Anna.“Da 12 anni” risponde Victor, asciutto. “E poi?” “Poi cosa?” “Poi cosa è successo voglio sapere.” ribatte Anna. Una breve pausa, uno sguardo perso, fisso ad osservare qualcosa che lei non vede: “Poi, non ci ho visto più” “Ma che significa non ci ho visto più? Che cosa ha fatto?” Anna comincia ad intuire qualcosa e un brivido le attraversa la schiena mentre osserva l’uomo che ha davanti. Prima il suo sguardo incontra le mani di lui, lunghe, nodose, nervose nel movimento poi, le sue scarpe. Le scarpe possono raccontare molto di una persona. Di buona fattura, di certo molto comode, non nuovissime dovevano aver camminato a lungo. Una grande storia da raccontare. Essenziale, pratico. Pronto alla fuga. Ai cambi di direzione improvvisi. Di contro scarpe lucide perfette e immacolate facevano soltanto perdere tempo. Chi le portava era una persona abituata ad avere tutto sotto controllo, che toccava poco con mano il mondo e che teneva bene le distanze. Viaggiava in auto, al cinema sedeva lontano dagli altri e aveva poca familiarità con chi non era come lui. Stava divagando nuovamente. Che razza di abitudine aveva. “Niente, le ho dato solo una spinta, lo giuro. Poi ho preso i suoi vestiti dall’armadio e li ho buttati tutti giù dalla finestra. Deve esser contenta che non ciò buttato a lei e a quell’infame che le ho trovato addosso. Ho perso la testa, ma vorrei vedere un altro al posto mio. Troppo bravo sono stato.” Anna tace e lo guarda rimanendo in attesa. Chiude un attimo gli occhi e si rivede che corre veloce sulla spiaggia, con il mare che si muove vicino a lei, con un suono sordo, come un forte brontolio, che alla fine somiglia a quello che sente nello stomaco adesso. Victor continua il suo racconto : “Dottoressa s’immagini, lei è una donna, se avesse un uomo che ama, farebbe mai così? Anni interi a farmi sentire sbagliato. Anni di no non posso, no non mi va, fai la tua vita che io faccio la mia. Poi, all’improvviso, la palestra, la madre, il corso di ballo. Da un giorno all’altro esce e torna tardi, il cellulare sempre in tasca silenziato. All’improvviso lo prendeva, guardava e scoprivi che qualcuno stava chiamando. “Ma perché non rispondi?” le dicevo e lei: “non mi va, sono i call center, rotture di scatole e basta!” e ancora: “Ma perché tieni la suoneria sempre bassa?” Le dava fastidio il rumore diceva. Io non sono uno stupido! So bene come vanno queste cose. L’ho seguita, e ho avuto ragione. Ho perso la testa, glielo ripeto.” “Ma che ha fatto, me lo dica, mi spieghi bene, e soprattutto si attenga ai fatti, lasciamo i commenti per dopo. Io per aiutarla devo conoscere gli avvenimenti e ancora non so cosa è successo” “Ho programmato tutto” riprende a raccontare l’uomo “Le ho detto che andavo via per 2 giorni e invece sono rimasto. Lei non ci ha fatto caso perché io, insomma, ogni tanto me ne devo andare. Ma questo non c’entra con la mia storia. Comunque, sono rimasto e l‘ho seguita. Il primo giorno tutto tranquillo. La mattina ha portato la ragazzina a scuola, poi è andata in palestra, cose così. Il secondo ha preso la macchina e si è fatta un grande giro. E io dietro, non l’ho mollata un secondo, incollato. Poi si è incontrata con un tizio. Hanno parlato un po’ e poi sono ripartiti, ognuno con la sua macchina. Io li ho seguiti. Sa dove sono andati? A casa. Casa mia intendo!” Una smorfia fredda sul viso dell’uomo. Una mano passata sulla fronte quasi a cacciare il ricordo. Poi la guarda e quasi dice ridendo “Ah ah ah, pensi un po’ dottoressa, eravamo in tre in fila indiana a spasso per la città a quel momento.”
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