L’inguaribile(troppo) romantico

Il nostro iscritto ha circa sessant’anni. E’ assolutamente e in tutto per tutto lo stereotipo dell’ inguaribile romantico! Nonostante l’età, non più verdissima, un divorzio difficile, due figli dei quali uno non gli parla più per niente, lui, dritto per la sua strada continua a corteggiare le sue “dame” a suon di cioccolatini, fiori e cenette al lume di candela. 
Le signore che gli facciamo conoscere, ormai abbastanza numerose( quattro per la precisione) all’inizio accettano sempre di rivederlo. 
​Lui è molto gentile ed educato, un gran signore oseremmo dire e i modi garbati tranquillizzano le interessate che accettano subito lo scambio dei numeri di telefono.
Dopo qualche giorno inevitabilmente ci chiamano chiedendoci spiegazioni su di lui.
“….è una cara persona ma….”, oppure ” ci divertiamo insieme ma al terzo giorno mi ha detto che si sta innamorando di me…è un pò presto non trovate?” o anche ” sono perplessa, ieri mi ha domandato  quanto ci metto ad innamorarmi. Ma che ne so gli ho risposto. Mi ha lasciata un pò senza parole capite?”
A questo punto di solito lo chiamiamo e ci parliamo. 
” Marco, non devi buttati così subito. Sii più riservato. Nelle vite degli altri si entra in punta di piedi. Non dire parole IMPORTANTI  troppo presto. Non sei credibile e sembri troppo affamato d’amore!”
” Ma io lo sono, molto affamato d’amore!” risponde lui.” Insomma , ma da voi non si viene per questo?  Per innamorarsi? E allora dov’è il problema? Sono troppo romantico? Ma io sono così! Chi mi vuole deve volermi come sono!”
Impossibile farsi ascoltare.
Impossibile dirigere le sue azioni.
Forse ha ragione lui però. Esisterà una donna che apprezzi il suo stile d’altri tempi, il suo essere senza schemi, strategie, freni e quant’altro? 
Glielo auguriamo di cuore, perchè è una brava persona indubbiamente, ma fuori dal tempo e leggermente, soltanto leggermente, sopra sopra le famose righe!

Tre minuti di felicità- terza puntata

3 MINUTI DI FELICITÀ, BLOG AMORI&PSICHE

“Da quanto siete sposati?” domanda ora Anna.“Da 12 anni” risponde Victor, asciutto. “E poi?” “Poi cosa?” “Poi cosa è successo voglio sapere.” ribatte Anna. Una breve pausa, uno sguardo perso, fisso ad osservare qualcosa che lei non vede: “Poi, non ci ho visto più” “Ma che significa non ci ho visto più? Che cosa ha fatto?” Anna comincia ad intuire qualcosa e un brivido le attraversa la schiena mentre osserva l’uomo che ha davanti. Prima il suo sguardo incontra le  mani di lui, lunghe, nodose, nervose nel movimento  poi, le sue scarpe. Le scarpe  possono raccontare molto di una persona. Di buona fattura, di certo molto comode, non nuovissime dovevano aver camminato a lungo. Una grande storia da raccontare. Essenziale, pratico. Pronto alla fuga. Ai cambi di direzione improvvisi. Di contro scarpe lucide perfette e immacolate facevano soltanto perdere tempo. Chi le portava era  una persona abituata ad avere tutto sotto controllo, che toccava poco con mano il  mondo  e che teneva bene le distanze. Viaggiava in auto, al cinema sedeva lontano dagli altri e aveva poca familiarità con chi non era come lui. Stava divagando nuovamente. Che razza di abitudine aveva. “Niente,  le ho dato solo una spinta, lo giuro. Poi ho preso i suoi vestiti dall’armadio e li ho buttati tutti giù dalla finestra.  Deve esser contenta che non ciò buttato a lei e a quell’infame che le ho trovato addosso. Ho perso la testa, ma vorrei vedere un altro al posto mio. Troppo bravo sono stato.” Anna tace e lo guarda rimanendo in attesa. Chiude un attimo gli occhi e si rivede che corre veloce sulla spiaggia, con il  mare che si muove vicino a lei, con un suono sordo, come un forte brontolio, che alla fine somiglia a quello che sente nello stomaco adesso. Victor continua il suo racconto : “Dottoressa s’immagini, lei è una donna, se avesse un uomo che ama, farebbe mai così? Anni interi a farmi sentire sbagliato. Anni di  no non posso, no non mi va, fai la tua vita che io faccio la mia.  Poi,  all’improvviso,   la palestra, la madre, il corso di ballo. Da un giorno all’altro esce e torna tardi, il cellulare sempre in tasca silenziato.  All’improvviso lo prendeva,  guardava e scoprivi che qualcuno stava chiamando. “Ma perché non rispondi?” le dicevo e lei: “non mi va, sono i call center, rotture di scatole e basta!” e ancora: “Ma perché tieni la suoneria sempre bassa?” Le dava fastidio il rumore diceva. Io non sono uno stupido! So bene come vanno queste cose. L’ho seguita, e ho avuto  ragione. Ho perso la testa, glielo ripeto.” “Ma che ha fatto, me lo dica, mi spieghi bene, e soprattutto si attenga ai fatti, lasciamo i commenti per dopo. Io per aiutarla devo conoscere gli avvenimenti e ancora non so cosa è successo” “Ho programmato tutto” riprende a raccontare l’uomo “Le ho detto che andavo via per 2 giorni e invece sono rimasto. Lei non ci ha fatto caso perché io, insomma, ogni tanto me ne devo andare. Ma questo non c’entra con la mia storia. Comunque, sono rimasto e l‘ho seguita. Il primo giorno tutto tranquillo. La mattina ha portato la ragazzina a scuola, poi è andata in palestra, cose così. Il secondo ha preso la macchina e si è fatta un grande giro. E io dietro, non l’ho mollata un secondo, incollato. Poi si è incontrata con un tizio. Hanno parlato un po’ e poi sono ripartiti, ognuno con la sua macchina. Io li ho seguiti. Sa dove sono andati?  A casa. Casa mia intendo!” Una smorfia fredda sul viso dell’uomo. Una mano passata sulla fronte quasi a cacciare il ricordo. Poi la guarda e quasi dice  ridendo “Ah ah ah, pensi un po’ dottoressa, eravamo in tre in fila indiana a spasso per la città a quel momento.”